Capitolo 4
Seconda Tappa
pre-catecumenale o di evangelizzazione iniziale
Anno: 1974-75 1975-76 1976-77 1977-78 1978-79 1979-80 1980-81
Nel periodo successivo alla nascita dei gruppi le iniziative si ampliarono, in rapporto alla nuova realtà dei gruppi stessi che bisognava sostenere e consolidare. Dal dicembre al luglio - e siamo nel 4° anno, 1974-1975 - oltre alle attività di carattere generale legate, come si è visto, alle feste e alle ricorrenze della tradizione, si fece una visita alle famiglie per animarle a incontrarsi mensilmente e si impostò la benedizione pasquale intorno al tema della riconciliazione nella famiglia. All'indomani della settimana ci eravamo accorti che i gruppi avrebbero subìto delle crisi. Quasi subito, infatti, cominciarono le difficoltà: qualcuno, non volendo offrire la propria casa per gli incontri, sosteneva che bisognava farli nei locali del Centro Comunitario; altri, che avevano sperato in un cambiamento radicale e immediato della gente solo dopo pochi incontri, si mostrarono delusi e si ritirarono.
Una campagna contro i gruppi venne fatta proprio da coloro che, all'inizio, avevano appoggiato tutto il progetto e poi, invece, si erano messi in contrasto, per ragioni politiche e solidarietà di partito, quando l'azione dell'équipe parrocchiale era stata accusata di aver fatto causa comune con la sinistra. Tra difficoltà, discussioni, accuse e divisioni, il movimento di idee era fervido, tanto che in famiglia, nel bar, per strada, nel consiglio comunale e in ogni riunione era inevitabile che si parlasse di gruppi, di fabbriceria, di Centro Comunitario, di prete, di suore e di quant'altro riguardava la parrocchia.
In questo clima, la casa dell'équipe parrocchiale era diventata meta anche di coloro che non vi avevano mai messo piede. Si aveva la netta sensazione che ormai l'immagine del prete legata a un determinato partito stava per scomparire. A tener desta la vita dei gruppi contribuì molto la preparazione dello statuto dell'assemblea parrocchiale, la discussione sulla celebrazione speciale del triduo pasquale e la preparazione dell'ordinazione sacerdotale e prima Messa di un diacono. Quanto allo statuto dell'assemblea, avevamo capito che, essendo già operanti i gruppi in parrocchia, l'assemblea parrocchiale non poteva non tener conto di questa realtà, per cui si sentì necessario darle un regolamento proprio. Risultarono allora due tipi di assemblea per due necessità ben distinte: l'informazione e la decisione.
Per la semplice informazione sui programmi e l'andamento generale della parrocchia c'è l'assemblea parrocchiale che chiamiamo straordinaria, alla quale partecipa tutta la gente. Per le decisioni che si devono prendere in ordine alla vita della parrocchia c'è l'assemblea parrocchiale che chiamiamo ordinaria, della quale fanno parte: i capi-gruppo e i coordinatori dei gruppi permanenti e dei gruppi occasionali (quelli cioè che non hanno un ritmo normale, ma si radunano per qualche necessità), il parroco e le suore.
L'autorità dell'assemblea è costituita: dal parroco, che ha il compito di presiederla nella carità, per confermare ciò che sembra essere secondo il Vangelo o promuovere un ulteriore approfondimento su ciò che non sembra essere secondo il Vangelo; dal coordinatore e dal segretario che, assieme al parroco, formano il consiglio di coordinamento. La riflessione che si fece nei gruppi, alla ricerca di un modo diverso e più adeguato di vivere la Pasqua in parrocchia, portò: all'introduzione di una "Via Crucis", con tema specifico, per le vie del paese; alla ripresa dell'adorazione, delle Quarant'ore a turni, secondo le strade; all'utilizzazione della bellissima cappella del cimitero per celebrare il lucernario della Veglia pasquale. Il significato del rito in quella cornice è molto bello: dopo aver acceso il cero e proclamato ad alta voce "la luce di Cristo", ogni fedele accende un lume al cero stesso e lo posa sulla tomba dei suoi cari proclamando così la fede nella risurrezione.
Per la sua ordinazione sacerdotale il diacono mandò una lettera a tutti i gruppi e a( tutte le famiglie del paese chiedendo, come dono particolare per quella circostanza, che il suo messaggio venisse letto in una riunione di gruppo e che gli comunicassero, come risposta, come lo volevano prete. Alla vigilia dell'ordinazione tutta la gente si raccolse nel tempio e si fece una celebrazione molto semplice in cui ogni rappresentante lesse la risposta che il suo gruppo aveva dato. Fu una esperienza intensissima di comunione fraterna.
Con questo si era arrivati alla soglia del 5° anno (1975-76). Nella revisione che avevamo fatto, ci eravamo accorti che i gruppi non erano ancora in grado di digerire temi impegnativi, quali erano: "il cristiano e la famiglia", "il cristiano e il denaro" e via dicendo, come si era tentato di proporre nell'anno precedente. Bisognava cercare qualcosa di più concreto che potesse attirare la loro attenzione e rientrasse di più nei loro interessi. Non mancarono le occasioni per farlo. La preparazione della visita pastorale del Vescovo, la proposta di scritte da apporre alle campane e la scelta delle melodie per il carillon diventarono temi di particolare interesse per i gruppi. La riflessione sulla visita del Vescovo diventò la relazione sulla situazione spirituale della parrocchia condivisa da tutto un popolo.
La riflessione sulla scritta da apporre alle campane. nel momento della fusione diventò l'occasione per una presa di coscienza sull'azione di Dio nella storia del paese. La riflessione per la scelta delle melodie portò a scoprire i molteplici legami esistenti tra l'anno liturgico e la vita di ciascuno e della comunità. Nulla di ciò che era oggetto di discussione e di riflessione dei gruppi rimaneva isolato, ma si trasfondeva subito nell'intera comunità parrocchiale. Le attività a livello di popolo crescevano di anno in anno e si moltiplicavano i servizi di assistenza e di sostegno alle famiglie bisognose. C'era un rapporto di fiducia reciproca che andava crescendo, nonostante le lotte e l'azione demolitrice che veniva condotta a livello politico.
Da parte dell'èquipe c'era uno sforzo continuo per mantenere buoni rapporti con tutti, nonostante le lotte che doveva sostenere per conservare la propria libertà e non cedere su ciò che riteneva essenziale per la vita della comunità. I fatti finirono col darci ragione: abbiamo sperimentato che la gente può anche ribellarsi nel momento della crisi, ma non ti volta le spalle se ti vede sincero e imparziale. Uno dei problemi che ci trascinavamo dietro di anno in anno e che, a ogni revisione, emergeva con sempre maggiore urgenza era quello dei giovani. Avevamo, sì, fatto qualcosa per loro, ma non era sufficiente per dare una risposta adeguata. Questa, insieme ad altre, era una spina al fianco, facendoci toccare con mano l'impotenza e i limiti della vita. Arriviamo così al 6° anno della nostra esperienza (1976-1977). Proprio perché il cammino, dall'inizio dell'esperienza a quel momento, era stato notevole sul piano della sensibilizzazione ai valori della fraternità e della comunione, emergeva ora con più evidenza il problema dell'integrazione dei diversi gruppi umani esistenti nella parrocchia. Era necessario che ogni persona e ogni famiglia, indipendentemente dalla sua origine e dalla sua situazione economica, avesse nella vita della comunità lo spazio dove poter esprimere se stessa, la propria identità e i propri valori e sperimentasse di essere accolta per quello che è e non per quello che possiede; e che questo potesse avvenire in nome della fede in Dio creatore, il quale manifesta, nella diversità dei doni distribuiti agli uomini, la ricchezza infinita del suo amore di Padre.
A livello di popolo, in tutte le attività dell'anno, che già erano diventate numerose, ci siamo preoccupati, da una parte, di far entrare la Bibbia in ogni famiglia - riservandole un posto d'onore all'interno di ogni casa - e di far in modo che si imparasse a usarla aprendola almeno qualche volta per la preghiera; dall'altra, di aiutare la gente a scoprire le ricchezze insite nelle diversità proprie dei gruppi umani che compongono il paese perché, in nome della fede, vengano accolte e integrate. A livello di gruppi c'era il problema di far partecipare al gruppo la famiglia in quanto tale. Tra la gente di Vajont gioca molto l'idea che alle riunioni basta che partecipi un solo membro della famiglia. Egli poi, una volta tornato a casa, comunica agli altri quello che si è detto e deciso nella riunione.
Avevamo pensato di fare con ogni gruppo, fuori sede, una giornata dell'amicizia che poi non si è potuta realizzare per le difficoltà sorte all'interno di ogni gruppo nel concordare impegni e orari. A livello dei giovani eravamo decisi a sfondare per dar vita a un movimento giovanile. Non siamo riusciti a far grandi cose, ma quello che ci proponevamo l'abbiamo ottenuto: porre le basi del movimento. Anche qui l'esperienza ci dice che la cosa essenziale è il tener duro con santa ostinazione.
Il modo, come al solito, è stato semplice: creare l'assemblea dei giovani. A nome dell'assemblea parrocchiale, del Centro Comunitario e del Centro Culturale, sono stati invitati tutti i giovani del paese a un'assemblea preparatoria, dove, per gruppi di età, erano invitati a esprimere quali fossero le loro necessità, quali attività avessero in mente di creare, come proponevano di organizzarsi e come pensavano di potersi inserire nelle altre attività del paese. Ogni gruppo di età, naturalmente, doveva cercare di coinvolgere i coetanei che non erano presenti all'assemblea. Il lavoro andò avanti per un po' e si arrivò all'assemblea che discusse le varie proposte e approvò un documento finale. L'assemblea dei giovani era nata, sebbene tra tante difficoltà e, come vedremo, continua a vivere e operare all'interno della comunità. Nel revisionare il lavoro svolto in vista di programmare l'attività per il nuovo e settimo anno (1977-1978), si ebbe la netta sensazione che la comunità era agitata da due grossi problemi.
Il primo era che tra adulti e giovani esisteva una spaccatura, non voluta certo da nessuno, ma dovuta a cause storiche, in parte generali e in parte peculiari del paese
. Un secondo problema, che incideva su quello generale ora menzionato, era dato dal fatto che gran parte delle persone, anche tra i giovani, mentre a livello interpersonale e familiare trovavano il coraggio di esprimersi, di prendere posizione e di definirsi, a livello di vita sociale, invece, avevano paura di farlo. Ciò dipendeva da vari fattori di tipo culturale come, ad esempio, l'opinione pubblica e il giudizio di coloro che credono di avere il potere.
Questa paura spingeva gli adulti a esprimersi in famiglia e i giovani a cercare spazio, per esprimersi, fuori del paese. Così vedevamo intrecciarsi i due problemi che, come nodi della situazione della comunità, dovevamo affrontare nel corso dell'anno. Dovevamo aiutare tanto i giovani quanto gli adulti a capire che la tensione fra generazioni può essere fonte di un dinamismo che arricchisce, di una dialettica di complementarietà, per cui gli uni vengono ad assumere anche i valori degli altri; a capire, inoltre, che la paura di fronte all'ambiente non significa necessariamente assenza di convinzioni, ma povertà di espressioni, per cui è necessario far leva sulle convinzioni profonde della gente perché si riveli e maturi una convivenza più civile perché più democratica. Ci parve che l'idea che poteva dare unità e ispirazione a tutte le iniziative e a tutte le tematiche era quella che tutti siamo chiamati per vocazione a essere popolo di Dio, impegnati a costruire il Regno di Dio con la forza che deriva dalla sua Parola.
Intorno a questa idea si prepararono le varie iniziative che formavano il tessuto della pastorale dell'anno, compresa la predicazione domenicale. Fu importante il foglietto formativo intitolato "Messaggio al popolo di Dio" che si cominciò a pubblicare ogni settimana con questo contenuto: in prima pagina, un breve messaggio ricavato dalla liturgia della domenica; in seconda e terza, una guida per capire la Bibbia; in quarta, testimonianze raccolte dalla gente su situazioni, iniziative ed esperienze vissute. Il foglietto guadagnò subito il favore del popolo e veniva letto dalla quasi totalità della gente. Era arrivato il momento in cui ci sembrava necessaria una riconvocazione e ricomposizione dei gruppi. Per questo si pensò di fare un incontro lampo con la gente via per via, su due piedi, per strada, allo scopo di spiegare la situazione dei gruppi, dire i motivi per cui li ritenevamo utili alla vita della comunità, offrendo così a tutti l'opportunità di reinserirsi liberamente in essi e annunciando che si sarebbero riuniti ogni primo, venerdì del mese, in forma continuativa. In tre giorni riconvocammo così tutto il paese e le risposte furono più positive di quanto si prevedesse. In preparazione al Natale si propose di celebrare una messa in ogni gruppo e la proposta fu accolta con favore da tutti.
Ricordo che cinque anni prima, come ho già accennato, quando era stata proposta un'Eucaristia nelle case, in occasione delle benedizioni pasquali, si era ricevuto un netto rifiuto dalla gente. Potevamo constatare che, in pochi anni, se n'era fatto del cammino e non solo a livello di gruppi, ma di popolo, perché a quella messa parteciparono di fatto anche molte persone che non aderivano ai gruppi. Il movimento giovanile, appena nato, ebbe parecchie difficoltà a rafforzarsi. Tuttavia, oltre al presepio e alla collaborazione per le altre iniziative attorno al Natale, i giovani realizzarono un falò-preghiera, un incontro, cioè, di preghiera attorno a un fuoco, solo per giovani, e una giornata all'aperto, con riflessione, giochi e celebrazione eucaristica in un luogo di montagna. Ogni mese si tenne l'assemblea dei giovani, con poca partecipazione. A giugno (1973) si tenne una messa domenicale solo per loro, con lo scopo di aiutarli a sperimentare un modo diverso e più dialogato di celebrare.
In quell'anno le tensioni politiche e le lotte contro le attività parrocchiali sembravano essersi un poco attenuate. C'erano le elezioni politiche che obbligavano a una tregua. Non si poté, peraltro, avere una prova che effettivamente si fossero placate per un nuovo atteggiamento, dato che intanto era cambiata l'amministrazione comunale. E con questo si arriva alla programmazione dell'ottavo anno di attività (1978-1979). Nella riflessione che si fece revisionando le attività passate emerse con vivacità particolare il problema dell'opinione pubblica come forza frenante in tutte le azioni che esigono l'impegno di mostrare la faccia. Questo lo avevamo constatato a tutti i livelli della nostra attività. Era perciò necessario aiutare la gente ad avere più coraggio nell'affrontare l'opinione pubblica e a percepire che la fede è un modo di vivere, quello di Cristo. L'anniversario del disastro ci diede lo spunto per fare una lettura del cammino fatto negli otto anni di programmazione, perché la gente potesse prendere coscienza che Dio stava camminando con questo popolo e lo stava invitando a dare una risposta più coraggiosa per la costruzione del suo Regno.
Alle varie iniziative, già entrate nella tradizione, si aggiunse una "tre sere" di incontri durante la quaresima, per quattro gruppi riuniti, riservando una settimana di quaresima per tutti coloro che non partecipavano ai gruppi. Lo scopo era di animare i gruppi e insieme di favorire l'inserimento di chi non vi prendeva parte. Ci si accorse che la gente aveva più desiderio di quanto apparisse di partecipare ai gruppi, ma ne era frenata da mille futili ragioni. Il movimento giovanile che, come si è detto, aveva trovato difficoltà ad acclimatarsi e a difendersi da tanti attacchi da parte dell'opinione pubblica, in quest'anno mostrò un po' più di grinta. Prese il via la messa domenicale per i giovani, preparata dai giovani stessi in un incontro infrasettimanale. Fu ripreso il cineforum con la proiezione di tre film sul tema della fede. Un'iniziativa del tutto nuova, che ottenne molto successo, furono i manifesti murali chiamati "tazebao", che i giovani crearono e affissero sui "tableaux" pubblici, il primo sul tema degli emarginati nel nostro paese, il secondo sull'opinione pubblica nella nostra comunità e il terzo sui giovani di Vajont. Le reazioni alle riflessioni dei giovani furono immediate e forti.
Nella revisione delle attività che abbiamo fatto prima di elaborare il programma pastorale del 9° anno (1979-1980) abbiamo dovuto constatare che l'opinione pubblica effettivamente era stata incrinata e che, a quel punto, era necessario dare voce e possibilità di espressione alla gente più sana, affinché potesse diventare fattore determinante della vita del paese. Per fare questo, l'ostacolo più forte da superare era il complesso di inferiorità culturale che si manifesta nella paura di prendere posizione in coerenza con le proprie idee, pensando di "non sapere", di "non potere". Si era notata, comunque, l'esistenza di una accettazione tacita, a livello interpersonale e familiare, del cammino che si era proposto. Bisognava trovare le vie per portare alla luce quello che di meglio si trovava a livello di famiglia e di rapporto diretto tra il prete e la gente. Tutte le iniziative furono rivolte a offrire alla gente la possibilità di confessare pubblicamente, almeno in alcune circostanze, i valori della fede che si cercava di vivere nell'ambito del privato. Due iniziative, in particolare, vanno segnalate nel fitto quadro delle attività previste per quell'anno: la lettera natalizia della comunità e la lettera quaresimale della comunità. Entrambe le lettere furono scritte in collaborazione con la gente.
Quella natalizia ebbe questo iter: inchiesta lampo, fatta dai messaggeri, famiglia per famiglia, con due domande: "Che cosa significa per te il Natale?" e "Come cristiano, quali auguri faresti ai tuoi familiari e a tutta la gente?". Basandosi sulle risposte ricevute, il parroco scrisse un testo base includendo frasi testuali della gente e le presentò ai membri dell'assemblea parrocchiale ordinaria, perché consultassero i membri dei diversi gruppi familiari. Il testo base fu poi discusso ancora in assemblea. Il parroco curò, infine, la stesura finale. La lettera natalizia fu letta alla messa di mezzanotte e fu poi mandata alle singole famiglie.
La lettera quaresimale invece, venne letta alle messe della domenica precedente alle Palme e poi inviata in ogni famiglia della comunità. Le messe nei gruppi, fin dall'anno precedente, erano diventate due: una in Avvento e una in Quaresima. Esse sono diventate un importante punto d'incontro per tante persone che ruotano attorno ai gruppi o per ragioni di amicizia con qualche membro del gruppo stesso, o per motivo di buon vicinato. Nel movimento giovanile si sono delineati, frattanto, quattro gruppi operativi.
Il gruppo liturgico ha continuato a preparare la messa dei giovani, ha organizzato una visita comunitaria agli anziani della casa di riposo di Maniago, ha preparato due manifesti, uno per il mercoledì delle Ceneri e uno per il mercoledì santo, sul tema del Padre Nostro il primo e sul tema delle beatitudini il secondo, segnalando a ogni frase le incoerenze fondamentali con ciò che si prega. Il gruppo informativo ha fatto il presepio, ha organizzato il cineforum sul tema "La fede aiuta a diventare persona?", ha poi pubblicato tre "tazebao" sui seguenti temi: da gregari a protagonisti; la libertà nel nostro paese; maschio o uomo?; la violenza nel nostro paese.
Il gruppo artistico ha collaborato per la preparazione di due recitals, uno su "Amare è creare vita" e l'altro su "La parola crea o distrugge". Il gruppo natura-vita ha organizzato un falò-preghiera e due momenti-contemplazione, uno sul tema dalla luce e l'altro sul tema dell'acqua. Il movimento giovanile, così articolato, poteva offrire ai giovani varie possibilità di inserimento. Una esperienza forte è stata fatta con i giovani in preparazione al sacramento della Cresima. Tutta la preparazione è stata concepita come un vero e proprio processo di discernimento sui diversi modi di impegno ecclesiale che la comunità ormai poteva offrire loro. Si cominciò prendendo in esame, uno per uno, i vari modi di impegno: messa domenicale, gruppi familiari, gruppi giovanili, messaggeri, catechisti e altre forme. Di ognuno si è discusso su cosa comportava e sulle motivazioni per assumerlo o non assumerlo. Poi si fece una giornata di ritiro nella quale ognuno considerava e definiva di doversi impegnare come cristiano. L'impegno di ognuno fu reso noto nella celebrazione poco prima di ricevere il sacramento. Questa esperienza coinvolse non solo i giovani, ma anche i loro familiari e la stessa comunità. A livello dei servizi di carità, quell'anno per la prima volta si poté realizzare una giornata del malato oltre che degli incontri-sollievo per loro.
In sede di revisione e in vista di programmare l'ultimo passo, che dovrebbe portarci alla celebrazione di un sinodo parrocchiale, come momento in cui il popolo scopre in se stesso ed esprime quei valori evangelici secondo i quali intende impostare e vivere la propria vita, abbiamo sentito la necessità di raccogliere in un unico quadro tutti gli elementi di analisi e di diagnosi che ci hanno permesso, negli anni passati, di fare questo cammino. La diagnosi che ne è uscita ci ha dato conferma della validità del cammino e ci ha fatto capire che è arrivato il momento di preparare il Sinodo. Dai segni che si sono manifestati abbiamo capito che la gente si è resa consapevole che è ragionevole e necessario professare pubblicamente la fede, ma sente di non avere ancora la forza per proclamarla con le parole e con i fatti. Ancora non siamo riusciti a capovolgere la situazione, a ottenere, cioè, che sia il Vangelo a determinare la vita e l'ambiente, anche se ciò non implica necessariamente una pratica religiosa e tantomeno una forma di interferenza della Chiesa nella gestione della società civile.
Le attività e le iniziative di questo 10° anno dell'esperienza (1980-81) dovrebbero aiutarci a scoprire che solo Cristo è il modello di vita da seguire e ad avere la forza per seguirlo. In realtà è andata proprio come previsto; ne è prova il fatto che la proposta del Sinodo è stata accettata con favore da tutta la comunità, nonostante un certo clima di stanchezza che ha accompagnato le varie attività, soprattutto quelle a livello giovanile dove si è notato anche un calo d'impegno abbastanza marcato. Nell'interpretare questa situazione bisogna tener presente una serie di fattori. Anzitutto va considerato il fatto che il discorso pastorale sta esigendo una sempre più chiara definizione nella fede e questo tende a produrre nella gente un atteggiamento di introversione tipico di questi momenti. La decisione di indire il Sinodo Parrocchiale proprio in presenza di questo fenomeno è stata un'intuizione giusta per una risposta adeguata all'esigenza del momento. Ne è prova l'accettazione quasi unanime da parte della gente. A riprova di tutto questo sta il fatto che al posto della solita critica per tutto ciò che viene proposto di nuovo c'è stata l'adesione di persone che fino a poco tempo fa si erano opposte al discorso dei gruppi familiari. In questo senso ci sembra di dover dire che il discorso di questi anni è calato in profondità più di quanto si potesse misurare dalle azioni esterne. In effetti qualcosa sta veramente maturando a livello di singoli e di famiglie nell'indirizzo di ciò che si è proposto, anche se ancora non si riesce a precisarlo sufficientemente.
Un secondo fattore da tener presente è che le associazioni sportive hanno caricato di impegni i ragazzi e i giovani al punto da dover riconoscere che non è possibile vivere in funzione dello sport. La gente si è accorta di essere nella necessità di fare una scelta coerente di fede, di passare cioè da una "fede privata" a una fede manifestata pubblicamente. Non ci è dato ancora di sapere se ne avrà la forza, tuttavia l'accettazione del Sinodo Parrocchiale sembra un'indicazione positiva, anche se si trova debole di fronte alle esigenze che questa professione comporta. La speranza comunque è stata messa sul Sinodo per il quale si sono concentrate tutte le energie e si è impegnato tutto il programma dell'anno 1981-82, undicesimo del nostro cammino.