Capitolo 4
Prima Tappa
Cherigmatica o di Convocazione
Anno: 1972 1972-73 1973-74
La prima cosa che dovevamo fare era di far incontrare quella gente perché scoprisse la bellezza e la necessità di vivere da fratelli. Frugando fra le tradizioni dei singoli gruppi umani, abbiamo trovato alcune usanze e tradizioni che avrebbero potuto essere accettate da tutti senza particolari difficoltà. Vennero fuori così le prime iniziative che trovarono una risposta favorevole immediata. Attorno al falò dell'Epifania (1972), per esempio, vedemmo raccogliersi una buona parte del paese ed è bastato aver suggerito alle famiglie di portare dolci e bibite da consumare insieme attorno al fuoco e aver invitato tutti alla Messa per la benedizione dell'acqua e della frutta, come si fa per antica tradizione nelle nostre zone, per trasformare quella circostanza in una vera e propria esperienza di fraternità. Tutti sono rimasti contenti e ora il falò dell'Epifania ha preso il nome di <falò della fraternità> ed è ormai diventato tradizione del paese.
Per cercare la legna, per preparare il rinfresco e per organizzare la Messa si muove ogni volta un sacco di gente tra uomini, donne, giovani, e bambini. Perfino l'amministrazione comunale mette a disposizione i propri mezzi meccanici e i propri operai. Un'altra iniziativa che ci pare importante ricordare è la sacra rappresentazione del Venerdì Santo, non perché abbia avuto una particolare riuscita, anzi non fu neppure attuata per mancanza di attori e collaboratori, ma perché diede lo spunto per fare incontrare la gente che cominciò a discutere i problemi di interesse comune in pubbliche assemblee. Radunammo, anzitutto, i capifamiglia del paese (2 gennaio 1972). Mettemmo a discussione tre argomenti: il falò dell'Epifania, di cui si è parlato, la Sacra rappresentazione per esaminare insieme l'opportunità o meno di riprenderla nel nuovo paese; la situazione personale di isolamento del prete per aver suggerimenti sul modo di superarla. Non si può immaginare con quale trepidazione si sia affrontata quella assemblea. La cosa che colpì di più fu la bontà della gente che, di fronte a un prete che confessava le sue difficoltà, si sentì responsabilizzata al problema, dando dei suggerimenti saggi, misurati e responsabili. Fu veramente un incontro fraterno che aprì la strada ad altre iniziative molto importanti in ordine all'obiettivo che ci eravamo proposti. Uno dei suggerimenti che l'assemblea aveva dato al parroco per superare l'isolamento era la visita alle famiglie. L'abbiamo preso subito in considerazione proponendo le benedizioni pasquali, non più come contatto fuggevole con la gente, ma come incontro del parroco con ogni famiglia per stabilire un nuovo rapporto e come opportunità per approfondire alcuni problemi di interesse comune. Si pensava di poter fare degli incontri con più famiglie insieme, celebrando magari l'Eucarestia; l'assemblea approvò la proposta della benedizione come incontro di preghiera, ma ritenne prematuro il farlo a gruppi di famiglie celebrando l'Eucaristia.
Perché la cosa riuscisse bene e col numero maggiore possibile di familiari presenti, una suora passava famiglia per famiglia a fissare l'incontro nel giorno e nell'ora richiesti dalle singole famiglie. In questo modo l'arrivo del parroco non aveva bisogno di particolari presentazioni, perché tutti sapevano già il motivo e la modalità dell'incontro ed erano predisposti alla conversazione e alla preghiera. Si spiegava il senso biblico della benedizione partendo da Dt 11, 26-28 passando poi a Col 3, 12-17 o Rm 6, 3-7. Da qui si partiva per un esame della situazione religiosa della parrocchia o della condizione di isolamento del parroco o della opportunità che la gente assumesse la responsabilità dell'economia della parrocchia. Si faceva un po' di preghiera tenendo presenti le cose dette nella conversazione, si recitava insieme il Padre Nostro, ognuno faceva il segno di croce con l'acqua, battesimale ricordando gli impegni del proprio battesimo e si concludeva con la benedizione e l'invito a tutti di partecipare all'assemblea del 10 settembre 1972 in cui si sarebbero prese importanti decisioni. Gli incontri duravano non meno di un'ora e, salvo qualche protesta dei soliti tradizionalisti di comodo, riuscirono graditi a tutti. Contribuirono non poco ad avviare un tipo di rapporto più cordiale con la gente.
Per l'assemblea di settembre non poteva esserci preparazione migliore. L'insieme delle decisioni che si presero in quella circostanza costituirono il primo fondamentale passo per la vita della parrocchia. Ricordo, fra le altre, il nuovo sistema economico che entrò subito in funzione, sistema che prevede la soppressione di ogni tariffa sui servizi religiosi, l'anonimato dell'offerta, l'istituzione di un'unica cassa per tutte le necessità della chiesa, affidata a un consiglio di amministrazione eletto dall'assemblea della comunità. Al parroco viene corrisposto un salario mensile calcolato sulla base della paga di un operaio non specializzato. Il consiglio di amministrazione (fabbriceria) assunse l'incarico di pubblicare, sul foglio settimanale, un resoconto particolareggiato delle entrate e delle spese. Esteriormente, le cose che si facevano, in se stesse, non avevano nulla di straordinario; erano infatti quelle di sempre, cercate talvolta tra le tradizioni più antiche; tuttavia avevano qualcosa che le animava dall'interno e che la gente stessa andava via via percependo, apprezzando e assaporando. E così, senza particolari difficoltà e con tanta gioia da parte dell'équipe che conduceva, si è arrivati alla soglia del secondo anno (1972/1973). La gente aveva avuto molte occasioni ormai per incontrarsi, per discutere insieme problemi e per prendere comunitariamente delle decisioni. Si era tentato, con esito positivo, di coinvolgere il maggior numero di persone in questa attività. Per l'ambiente in cui si operava, il poter raccogliere insieme cento persone adulte, soprattutto uomini, era un'impresa straordinaria. Ma ciò che confortava di più era il fatto che di quelle cose ne parlavano tutti, anche coloro che si erano tenuti in disparte.
Le iniziative rivolte a far incontrare la gente per renderla sensibile ai valori della fraternità si moltiplicarono quasi all'improvviso. Si pensò alla commemorazione del disastro (ottobre) per introdurvi un tema che fosse un richiama forte alla necessità di superare rancori e divisioni e per facilitare il cammino verso la ricostruzione. Per abituarsi all'idea di stare insieme in nome delle cose più sacre, quali ad esempio la devozione ai defunti, si approfittò della commemorazione dei Morti per celebrare durante il mese di novembre delle messe per casati e gruppi di famiglie. In un'assemblea (dicembre 1972), radunata per decidere sulla sacra rappresentazione del Venerdì Santo, si era posto alla gente il problema di come vivere il Natale e l'Epifania in comunità. La risposta fu immediata e venne eletta una commissione con l'incarico di preparare un programma in collaborazione con l'équipe parrocchiale.
Ne nacque una serie di iniziative che in buona parte entrarono nella tradizione della comunità: si pensi, ad esempio, quale messaggio di fraternità poteva costituire una visita comunitaria a tutti gli ammalati nelle case e negli ospedali, portando a ciascuno un dono preparato con la collaborazione dei giovani; un incontro (26 dicembre) con tutti gli anziani della parrocchia per affermare che loro sono le radici senza le quali la comunità non può crescere e svilupparsi; un presepio costruito sul tema della fraternità con spiegazione fatta dai giovani e incisa su nastro e un falò, come si è detto, costruito in collaborazione.
Quel Natale fu ricchissimo di contenuto e richiamò tanta gente a una più attiva collaborazione. Venne poi il Carnevale e anche questa circostanza offrì l'occasione per inventare una festa e abituare la gente a condividere con spirito fraterno anche la gioia e l'allegria. Una persona presente alla festa, indicando l'addobbo multicolore e alludendo chiaramente a tutta quella gente che si divertiva per la musica, le danze e le maschere e che consumava le cose messe in comune, allegramente, disse: " Come stanno bene insieme tutti quei colori! ". Erano i gesti più che le parole a indicare che, al di là delle diverse provenienze, delle ideologie e delle condizioni sociali e culturali, c'erano spazi impensati che si offrivano a tutti per vivere i valori della fraternità.
Certo, non mancarono neppure le critiche di chi era abituato a inquadrare le cose nel solito schema delle divisioni politiche e dei gradini del potere. Le benedizioni pasquali, dopo la positiva esperienza dell'anno precedente, vennero concepite come incontro di preghiera e di sensibilizzazione delle famiglie sul modo di organizzare il Centro Comunitario. Sarà bene soffermarsi un istante a spiegare che cos'è questo Centro Comunitario perché, come vedremo successivamente, diventerà oggetto di forti tensioni all'interno della comunità.
Si tratta di un complesso di locali sorti nel progetto generale di servizi per il culto, come opere parrocchiali, comprendenti una sala per riunioni e altri spazi interni ed esterni da utilizzare per le varie attività pastorali. Si pensava che questi locali potessero servire, non solo per le attività parrocchiali, ma per tutte le iniziative che si promuovevano nel paese. Questo è il motivo per cui venne chiamato " Centro Comunitario" e non " Oratorio " od "Opere parrocchiali ". Era necessario perciò che avesse un minimo di statuto che contenesse chiare le finalità, i soggetti, il governo, le fonti per il mantenimento.
Volevamo che le decisioni su tutto ciò fossero frutto di una ricerca comune, perché tutti si rendessero responsabili di quanto si intendeva fare. Le indicazioni raccolte nelle singole famiglie furono manifestate in una relazione che il parroco presentò nel settembre 1973 all'assemblea che espresse una commissione provvisoria, con il compito di stendere uno schema di statuto e di provvedere alle prime necessità del Centro stesso. La commissione risultò composta da sei membri eletti dall'assemblea, dai presidenti delle varie associazioni e dai segretari dei partiti politici esistenti nel paese, i quali sarebbero stati invitati a farne parte. Con questa assemblea si era già varcata la soglia del terzo anno (1973-74). Nella revisione che avevamo fatto nel mese di luglio (1973) ci era parso che fosse venuto il momento di aiutare la gente a capire e soprattutto a sperimentare che, in fondo, l'essere Chiesa significava condividere cose, idee, responsabilità, sofferenze e gioie, attese e preoccupazioni con spirito di comunione.
In termini teologici si direbbe: condividere la fede, la speranza e la carità. Pensavamo inoltre di arrivare, per il dicembre 1974, a portare la gente a celebrare la settimana di riflessione evangelica come esperienza di particolare intensità che permettesse il nascere di gruppi di riflessione evangelica a carattere permanente. Era necessario poter legare questa esperienza a qualcosa di concreto che la gente sentisse con particolare interesse. Non fu difficile trovarlo, perché nulla di meglio e di più appropriato poteva esserci, in quel momento, a Vajont, che la consacrazione del tempio, la cui costruzione era quasi ultimata. Attorno a questo avvenimento si creò una serie di iniziative che non lasciarono indifferenti nessuna persona, nessuna famiglia e nessuna realtà sociale esistente nel paese. Si era preso come tema per la predicazione domenicale la Chiesa vista dall'ottica della costituzione dogmatica Lumen Gentium del Concilio Vaticano II. E perché potesse diventare una vera evangelizzazione, avevamo pensato di preparare l'omelia, settimana per settimana, con un gruppetto di persone, quelle che avrebbero aderito spontaneamente all'invito rivolto a tutti nelle messe domenicali. La cosa andò avanti per un po' di tempo pacifica e indisturbata.
Quando però ci si accorse che l'omelia domenicale entrava sempre più nel vivo della vita quotidiana e cominciava a disturbare non poco coloro che erano abituati a voler conciliare col Vangelo ciò che era inconciliabile, si reagì prendendosela con quelli che partecipavano alla riflessione per l'omelia, accusandoli di andare dal prete a spettegolare. Scoraggiate da ciò, una dopo l'altra, queste persone cessarono di partecipare all'incontro e l'iniziativa si spense. Il fatto che l'iniziativa non abbia potuto continuare, non vuoi dire che non abbia contato affatto; contribuì a far capire, ancora una volta, quanta forza condizionante avesse l'opinione pubblica sul comportamento della gente; scoprimmo, in quell'occasione, quante capacità e quali ricchezze di valori vengano soffocate da questo fenomeno e, insieme, quanto grande sia l'azione dello Spirito e quanta sapienza umana possa cogliersi in quella gente che normalmente viene scartata e definita ignorante.
La commissione per l'organizzazione del Centro Comunitario, nel frattempo, aveva dato inizio al suo lavoro. La prima difficoltà fu entrare nell'idea che fosse possibile per i segretari di partito collaborare a una iniziativa comune, non a nome personale, ma a nome del partito che rappresentavano. Più presto di quanto si prevedesse, la commissione preparò lo schema di base dello statuto che venne discusso nelle famiglie e fu poi approvato nell'assemblea del dicembre 1973. Ne è stato interessante in questo " iter " il fatto che, guidata dall'idea di far discutere lo statuto a gruppi di famiglie, la commissione aveva preparato, sulla base di un sondaggio fatto famiglia per famiglia, uno schema di possibili gruppi che poi si sono effettivamente radunati.
Per valorizzare e incrementare la devozione mariana, all'inizio di ottobre del 1973, si era organizzata una marcia della fede sul tema della riconciliazione. Non ci eravamo fatti illusioni sull'esito dell'iniziativa, conoscendo le difficoltà che la gente trova a far lunghe camminate all'aperto. Vi parteciparono, tuttavia, un centinaio di persone tra uomini e donne, di tutte le età. Lungo il percorso di 9 Km si fecero tre tappe. In ognuna di esse i partecipanti, divisi per gruppi, hanno pregato e riflettuto insieme sul tema proposto. Alla fine, quelle riflessioni, lette da un rappresentante di ogni gruppo, sono servite ad animare l'Eucaristia che si è celebrata nel Santuario. All'ora di pranzo, ciascuno ha messo a disposizione degli altri quanto aveva portato per la refezione. La gioia che tutti hanno provato in quella circostanza nasceva, evidentemente, dalla esperienza effettiva di riconciliazione e condivisione che si era vissuta in quella giornata. Nel dicembre 1973 si propose un cineforum con la proiezione di tre film e, inoltre, un dibattito pubblico con la partecipazione dei segretari dei partiti politici esistenti nel paese e il parroco, tutti sul tema della Chiesa. La poca partecipazione della gente al dibattito pubblico dei partiti non ci sorprese, ma ci diede un'idea di quale lungo cammino avremmo dovuto percorrere prima di riuscire a sganciare dalla mente della gente l'idea di Chiesa da una ben precisa collocazione nel quadro politico nazionale.